Avvocato specialista: davanti al giudice amministrativo anche il nuovo Regolamento
Le censure che tentano di dimostrare anche le incongruenze delle scelte regolamentari riguardano principalmente l’individuazione dei settori e degli indirizzi di specializzazione, le modalità di organizzare i corsi di formazione nonché alcune scelte sulla possibilità del dottore di ricerca di ottenere la specialità e sul contenuto del colloquio di specializzazione sulla base dell’esperienza.
Troppi segmenti di specializzazione… Orbene, il primo motivo di critica del nuovo regolamento riguarda proprio l’individuazione dei settori e degli indirizzi di specializzazione.
Secondo i ricorrenti «la scelta di individuare tredici settori e, tra quelli del diritto civile, penale e amministrativo, ulteriori indirizzi (undici per il civile, sette per il penale e otto per l’amministrativo), è illegittima perché l’introduzione degli indirizzi quali segmenti di specializzazione nei settori del diritto civile, penale e amministrativo è priva di copertura legislativa» e ciò comporta anche degli effetti verso i terzi perché «hanno rilevanza esterna sia in quanto determinano l’oggetto del percorso formativo necessario all’acquisto del titolo, sia in quanto sono oggetto di pubblicità e/o comunicazione nei confronti di terzi».
Secondo i ricorrenti, poiché uno degli ambiti in cui le specializzazioni potranno essere spese sono le procedure di affidamento di incarichi di difesa da parte delle pubbliche amministrazioni «la formulazione e l’uso dell’indirizzo – ad esempio nell’ambito di procedure selettive quale criterio di partecipazione o di preferenza – potrebbe assumere connotati divisivi e persino anticoncorrenziali».
…giudicati amministrativi inascoltati? I ricorrenti hanno dedotto anche che questa individuazione delle materie da parte del Ministero non tiene conto dei precedenti giudicati amministrativi sulle specializzazioni: TAR e Consiglio di Stato avevano constatato, nella precedente versione del Regolamento, una scelta «illogicamente omissiva di discipline giuridiche oggetto di codificazione (diritto dei consumatori) o di discipline oggetto di giurisdizioni dedicate (Corte dei conti), ciò che paleserebbe l’assenza di parametri oggettivi di riferimento per l’individuazione degli stessi».
Ecco allora che anche per questa nuova elencazione di materie si potrebbe sostenere che non sia stato «rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell’ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto (…) Piuttosto sembra che si sia attinto, solo per frammenti, a ciascuno di tali criteri, senza che tuttavia emerga un unitario filo logico di selezione».
Materie non considerate … Per dimostrare questo assunto vengono portati alcuni esempi di materie o settori “non considerati” ai fini della specializzazione. E così ad esempio non si è accolta la distinzione tipicamente anglosassone tra “giudiziale” e “stragiudiziale” o, ancora, non è stato fatto alcun riferimento «a profili di specialità nei settori processuali o, all’inverso, nei settori alternativi a quello processuale … né alle procedure di ADR, né al diritto degli arbitrati, che invece avrebbero potuto assumere dignità di settore autonomo, così come accade in altri paesi dell’Unione Europea», né – nel settore del diritto amministrativo – al diritto farmaceutico.
…e altre frammentate. Ma ci sono ipotesi anche di eccessiva frammentazione come, ad esempio, il diritto dell’informazione. Secondo i ricorrenti, infatti, il diritto dell’informazione è stato indicato “sia come settore autonomo all’art. 3 comma 1 lettera l) (accorpato con il “diritto della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali”) sia come indirizzo del diritto penale all’art. 3 comma 4 lettera g) (“diritto penale dell’informazione, di internet e delle nuove tecnologie”), consentendo l’assurdo risultato che un avvocato che si specializza nel settore del diritto dell’informazione, ai sensi dell’art. 3 co. 1 lett. l) – magari in ambito stragiudiziale – non possa dirsi specializzato anche in riferimento a quelle situazioni afferenti al medesimo oggetto ma suscettibili di assumere profili di rilievo anche penale».
La scelta di due settori e sei indirizzi. Un ulteriore profilo di illegittimità è stato ravvisato nella circostanza che l’avvocato può scegliere fino a due specializzazioni e sei indirizzi (e, cioè, tre per ognuno dei settori): il che, secondo i ricorrenti, sarebbe una scelta illegittima specialmente alla luce della scelta delle materie e degli indirizzi effettuata dal nuovo regolamento e della legge secondo cui l’avvocato ha «la possibilità di ottenere il titolo di specialista» e riserva il conseguimento del titolo per comprovata esperienza a coloro che «dimostrino di avere esercitato in modo assiduo, prevalente e continuativo attività professionale in uno dei settori di specializzazione negli ultimi cinque anni».
Se «la specializzazione sta proprio nella peculiarità e nella prevalenza dell’impegno professionale in un determinato percorso settoriale» come può essere – si interrogano i ricorrenti – che sia «consentito specializzarsi in diritto civile con indirizzo nel diritto successorio, diritto dell’esecuzione forzata e diritto dei consumatori, nonché in diritto penale con indirizzo in diritto della pubblica amministrazione, dell’economia della criminalità organizzata e delle misure di prevenzione e dell’esecuzione penale».
E poi perché – sul modello francese o statunitense – non è stata prevista la possibilità per l’avvocato di sottoporre nuovi settori o indirizzi di specialità in base alla pratica professionale?
I corsi di formazione. Un ulteriore profilo di critica avanzato nel ricorso riguarda le convenzioni con le Università per lo svolgimento dei corsi di formazione di specializzazione. Secondo il Regolamento, mentre il CNF può procedere direttamente alle convenzioni, i Consigli dell’Ordine – oltre al vaglio ministeriale – dovrebbero ottenere l’intesa con le associazioni specialistiche così gravando «gli Ordini di un obbligo che non ha ragion d’essere, se non quella di limitarne ingiustificatamente il raggio di azione, subordinandone l’intervento al preventivo consenso con soggetti, per definizione, privati (le associazioni specialistiche)».
Il coinvolgimento delle associazioni potrebbe, viceversa, avvenire «nel momento relativo alla programmazione del corso, inteso anche dal punto di vista didattico, focalizzando l’attenzione sulle tematiche di maggior rilievo in un dato momento storico»: qui «è possibile ed auspicabile un confronto ed un’eventuale “intesa” tra i C.O.A. e le associazioni professionali».
Il dottorato di ricerca. Nell’ambito delle modalità di acquisizione del titolo di specialista, poi, viene criticata anche la scelta di consentire a chi ha conseguito il titolo di dottore di ricerca (e, cioè, lo ricordiamo il grado massimo dell’istruzione universitaria dopo tre anni e a seguito di un concorso pubblico di ammissione) di ottenere il titolo di specista «ove riconducibile ad uno dei settori di specializzazione». Secondo i ricorrenti, questa possibilità sarebbe illegittima perché il titolo dimostrerebbe una formazione teorica, ma non lo svolgimento di un’attività professionale.
Colloquio “indeterminato”. Un ulteriore profilo di censura attiene al colloquio per acquisire il titolo di specialista sulla base dell’esperienza. Ed infatti, ancora una volta viene in rilievo l’indeterminatezza dell’oggetto e delle finalità del colloquio che, secondo i ricorrenti, deve essere specificato nell’interesse sia dell’aspirante al titolo sia degli utenti.