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Mascherine: dalle manovre speculative sui prezzi e frodi in commercio al decreto ‘Cura Italia’ che consente la produzione senza marchio CE

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Mascherine: dalle manovre speculative sui prezzi e frodi in commercio al decreto ‘Cura Italia’ che consente la produzione senza marchio CE

«…E nel decreto legge c’è anche una misura che consente di realizzare mascherine sul territorio nazionale secondo standard che sono comunque adeguati ai livelli di sicurezza ma che non debbano poi rispettare quelle procedure così lunghe e farraginose per avere una autorizzazione. Immaginiamo che a breve si possa avviare una produzione nazionale, molte aziende lo stanno già facendo e ci auguriamo che avvenga quanto prima».

In effetti l’art. 15 del decreto legge “Cura Italia” prevede, come vedremo meglio, che sia «consentito produrre mascherine chirurgiche in deroga alle vigenti norme».

Aperti procedimenti penali per manovre speculative e frodi in commercio. Facciamo prima un passo indietro. L’emergenza Coronavirus ha purtroppo alimentato, a partire dalla metà del mese scorso, manovre speculative sulle mascherine, ossia un aumento dei prezzi non fisiologico, slegato dalle dinamiche di mercato e dalle prassi commerciali. Pertanto, le mascherine venivano vendute a prezzi esorbitanti. Così la Procura di Milano (ed anche altre) ha aperto dei procedimenti penali e relative indagini per manovre speculative su beni di prima necessità, verificando, ad esempio, che in quei giorni (seconda parte del mese di febbraio) le confezioni con 50 mascherine sono state vendute online anche a 100 euro, ossia a 2 euro a mascherina, mentre il loro costo non supera i 20 centesimi. Nel corso delle indagini potrebbe anche essere contestato il reato di “frode nell’esercizio del commercio” perché a volte vengono vendute mascherine chirurgiche spacciate per quelle Ffp3, ossia quelle adatte per questo tipo di emergenze.

Numerose perquisizioni e sequestri della Guardia di Finanza. Anche la Guardia di Finanza ha effettuato numerose perquisizioni su base nazionale hanno sequestrato migliaia di mascherine, purificatori per ambiente, visiere, addirittura copri wc, ed altri articoli destinati alla protezione delle vie respiratorie, stroncando così sul nascere, manovre speculative e fenomeni distorsivi del mercato.

Mascherine pronte ad essere immesse sul mercato senza marchio di qualità CE. Anche nella capitale, all’interno del piano di controlli messo in atto dal comando provinciale della guardia di finanza di Roma (per contrastare i comportamenti illegali e fraudolenti che sfruttano l’attuale emergenza sanitaria determinata dal Covid-19), si è scopeto che numerose mascherine, prodotte artigianalmente da una sartoria di Roma ubicata nel quartiere Portuense, erano pronte ad essere messe in commercio, sebbene non conformi alla normativa comunitaria e nazionale poiché sprovviste del marchio di qualità CE.

Reati per chi lucra sull’emergenza: 1) il delitto di manovre speculative su merci. L’art. 501-bis, stato introdotto il decreto legge 704/1976 (dopo la crisi energetica del 1973) punisce chiunque, nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità (oppure ne sottrae alla utilizzazione o al consumo rilevanti quantità), in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno. La cornice edittale è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da 516 a 25.825 euro; è procedibile d’ufficio, di competenza del Tribunale monocratico; non sono consentiti le misure precautelari dell’arresto e del fermo e l’unica misura cautelare personale consentita è il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali.

Elementi costitutivi del reato. Nella risalente giurisprudenza di legittimità rinvenuta (in quanto la fattispecie incriminatrice è chiaramente legata a situazioni emergenziali, si è specificato che ai fini della sussistenza del reato di manovre speculative su merci, può integrare in astratto una manovra speculativa anche l’aumento ingiustificato dei prezzi causato da un singolo commerciante, profittando di particolari contingenze del mercato. Tuttavia, perché ciò si verifichi è pur sempre necessario che tal condotta presenti la connotazione della pericolosità prevista dall’art. 501-bis, c.p. nei confronti dell’andamento del mercato interno e, cioè, che essa, per le dimensioni dell’impresa, la notevole quantità delle merci e la possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del settore, possa tradursi in un rincaro dei prezzi generalizzato o, comunque, diffuso. Invero, la consumazione del reato richiede la sussistenza di comportamenti di portata sufficientemente ampia da integrare un serio pericolo per la situazione economica generale, con il rilievo che la locuzione «mercato interno», contenuta nella citata norma, rende certamente configurabile la fattispecie criminosa anche quando la manovra speculativa non si rifletta sul mercato nazionale, ma soltanto su di un «mercato locale», però il pericolo della realizzazione degli eventi dannosi deve riguardare una zona abbastanza ampia del territorio dello Stato, in modo da poter nuocere alla pubblica economia (Sez. VI, n. 14534/1989).

Occorrono comportamenti su larga scala. Ancora, si è specificato essere necessario che la sottrazione all’utilizzazione o al consumo concerna «rilevanti quantità» e cioè comportamenti di portata sufficientemente ampia e tale da costituire un serio pericolo per la situazione economica generale (Sez. VI, n. 2385/1983).

La prova del reato, in una situazione di emergenza come quella attuale, è agevole perché può essere sufficiente dimostrare la messa in vendita di un articolo di prima necessità a prezzi esorbitanti fatta da un singolo commerciante, soprattutto se opera su larga scala.

2) Frode nell’esercizio del commercio. L’art. 515 c.p. punisce chi, nell’esercizio di un’attività commerciale, o in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, o una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella pattuita. Anche qui il delitto è procedibile d’ufficio, di competenza del Tribunale monocratico; non sono consentiti le misure precautelari dell’arresto e del fermo e l’unica misura cautelare personale consentita è il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali. Sul piano sanzionatorio il fatto è punito con pena alternativa: reclusione fino a due anni (il tetto di pena sale a tre anni se si tratta di oggetti preziosi) o con la multa fino a 2.065 euro.

Scatta il reato per i prodotti senza marchio CE. La Suprema Corte ha stabilito di recente che «la divergenza qualitativa è data anche dalla contraffazione o assenza del marchio CE, assumendo che la sigla CE è marcatura ed è finalizzata ad attestare la conformità del prodotto a standard minimi di qualità» (Sez. III, n. 17686/2019; n. 33397/2018). È irrilevante l’accertamento in concreto delle caratteristiche del prodotto destinato alla vendita, che potrebbero anche essere superiori a quelle dichiarate, rilevando esclusivamente la lesione dell’ordine economico e della regolarità del commercio operata dalla diffusione di beni differenti da quelli dichiarati.

Non rileva l’atteggiamento fraudolento del venditore. La Cassazione ha anche precisato che in tema di frode nell’esercizio del commercio, il bene giuridico tutelato va individuato nel leale esercizio di tale attività e la condotta tipica punita consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dal fatto che l’agente abbia usato particolari accorgimenti per ingannare il compratore o dalla circostanza che quest’ultimo potesse facilmente, applicando normale attenzione e diligenza, rendersi conto della difformità tra merce richiesta e consegnata (Sez. II, n. 48026/2014).

La prova del reato anche da condotte omissive. Sul piano probatorio, la mancata consegna da parte di colui che pone in vendita prodotti che recano il marchio CE, nel corso di un controllo, della documentazione che attesta la regolarità dell’apposizione di tale marchio, integrando l’omissione di una condotta richiesta agli operatori economici, costituisce un comportamento significativo, in assenza di elementi contrari, della irregolarità dell’apposizione, non comportando un’inammissibile inversione dell’onere della prova della sussistenza del reato di tentativo di frode nell’esercizio del

commercio ex art. 515 c.p. Sez. III, n. 50783/2019).

Mascherine finite, a breve produzione senza marchio CE. Il quadro normativo descritto subirebbe una deroga laddove, come detto, l’art. 15 del decreto legge approvato ieri dal Governo prevede disposizioni straordinarie per l’autorizzazione alla produzione di mascherine chirurgiche. Il comma 1 dell’art. 15 prevede che per la gestione dell’emergenza COVID-19, e fino al termine dello Stato di emergenza «è consentito produrre mascherine chirurgiche in deroga alle vigenti norme». Il comma 3 stabilisce poi che «le aziende produttrici che intendono avvalersi della deroga di cui al comma 1, devono inviare all’istituto superiore della sanità autocertificazione nella quale, sotto la propria esclusiva responsabilità, dichiarano quali sono le caratteristiche tecniche delle mascherine e che le stesse rispettano tutti i requisiti di sicurezza di cui alla vigente normativa. Entro e non oltre tre giorni dalla citata autocertificazione le aziende produttrici devono altresì trasmettere all’istituto superiore della sanità ogni elemento utile alla validazione delle mascherine oggetto della stessa». L’istituto superiore della sanità entro due giorni dalla ricezione dell’autocertificazione, si pronuncia sulla rispondenza delle mascherine alle norme vigenti. E qualora all’esito della valutazione le mascherino non siano conformi il produttore cessa immediatamente la produzione.

Autorizzata quindi immissione nel mercato di prodotti senza marchio CE. Quindi in questi casi ovviamente chi immette in commercio tali mascherine senza marchio Ce non commetterebbe il reato di frode in commercio, mancando l’elemento oggettivo della mancata conformità del prodotto a standard minimi di qualità (che sarebbero comunque garantiti dal controllo dell’istituto superiore della sanità, accorciando i tempi delle lunghe e farraginose procedure di standard qualitativi Ce, non essendo possibile attendere dovendosi garantire l’autosufficienza di tali beni di prima necessità). In ogni caso la condotta sarebbe scriminata da una specifica esimente prevista da una norma di legge proprio per far fronte alla situazione emergenziale coronavirus.

Scatta la frode in commercio qualora vengano vendute mascherine non conformi. Qualora invece, per l’istituto sanitario della sanità le mascherine prodotte non rispettino le norme vigenti (poste a presidio dello standard qualitativo minimo necessario per essere utilizzate), qualora tali mascherine, nonostante la valutazione negativa (che impone di cessare immediatamente la produzione) venissero immesse nel mercato, scatta il reato di frode in commercio.

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