Il nuovo rito civile emergenziale di cui all’art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. 17 marzo 2020, n. 18: una prima lettura
La giustizia in mezzo al contagio
Ne I promessi sposi si ricorda che Ambrogio Spinola, governatore di Milano ai tempi della peste, non credendo al contagio, emanò una grida “in cui ordinava pubbliche feste per la nascita del principe Carlo, primogenito del re Filippo IV, senza sospettare o senza curare il pericolo di un gran concorso, in tali circostanze” (cap. XXXI); e, poi che, nel mezzo del contagio, i decurioni, ottennero che il giorno di San Barnaba “si facesse una solenne processione, portando per la città il corpo di san Carlo”. Tale processione si protrasse dall’alba fino ad “un pezzo dopo mezzogiorno”, passando, con ampio corteo di popolo, per tutti i quartieri cittadini.
Sottolineava amaramente il Manzoni: “ed ecco che, il giorno seguente, mentre regnava quella presuntuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse avere troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tale eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non vedesse la causa, l’occasione, nella processione medesima” (cap. XXXIII).
A fronte della estrema diffusività dell’emergenza epidemiologica Covid- 19, il Governo non ha ripetuto gli errori compiuti dal governo spagnolo ai tempi della peste del 1630, ma ha tentato di contenere gli effetti negativi del virus, nell’ottica di contenere o evitare i contatti ravvicinati tra le persone, anche nel processo civile, che può essere un primario veicolo di contagio.
Ecco quindi che, grazie ad un intervento ad ampio spettro (dipanatosi per ben 127 articoli), il d.l. 17 marzo 2020, n. 18, dettante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 79, del 17 marzo 2020), si è tentato di contenere gli effetti negativi scaturenti dall’epidemia intervenendo nei più diversificati settori della società, dai trasporti all’agricoltura, dall’industria allo sport, dallo spettacolo alla cultura, dalla sanità all’università, dalla scuola agli obblighi tributari e, non ultimo, in tema di esercizio della giurisdizione.
In particolare, con il testo affidato all’art. 83 del decreto legge (ampiamente riproduttivo del contenuto degli artt. 1 e 2 del d.l. 8 marzo 2020, n. 11, che al contempo l’art. 83, ultimo comma, ha abrogato), il legislatore emergenziale ha tentato di contemperare le esigenze igienico-sanitarie, volte al contenimento dell’epidemia limitando o azzerando i contatti interpersonali, con quelle dirette a non (completamente) paralizzare il processo civile, inibendo l’esercizio della giurisdizione.
La finalità dell’intervento legislativo che innova le regole del processo civile, seppur per un circoscritto lasso temporale (ovvero, dal 9 marzo 15 aprile 2020, periodo in cui le udienze non possono celebrarsi e sono rinviate ex officio a data successiva al 15 aprile 2020, salvo quelle di cui al comma 3, ritenute urgenti ed indifferibili; e poi dal 16 aprile al 30 giugno, comma 6), tende ad «evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone» (comma 6); nell’ottica, appunto, di evitare l’ulteriore propagazione del contagio o, quantomeno, per tentare di contenerlo. Costituisce osservazione lapalissiana quella secondo cui le udienze, e in particolare quelle dei processi civili, sono luoghi ove convengono e si affolla un numero crescente di professionisti, quindi luoghi di incubazione e trasmissione della patologia e del contagio. Evitare la celebrazione delle udienze in questo periodo di massima diffusività del morbo costituisce scelta doverosa onde garantire la salute degli operatori della giustizia, dei loro familiari e dei terzi.
Le misure organizzative previste per la fase II
Sempre in quest’ottica profilattica di contingentamento e quarantena del sistema giustizia, spicca, nella fase immediatamente successiva alla scadenza del periodo di sospensione dei termini, la fase II che dovrebbe protrarsi dal 16 aprile al 30 giugno 2020, rimessa alla capacità organizzativa dei dirigenti ed alla duttilità del singolo magistrato.
Molteplici sono le misure organizzative, «anche relative alla trattazione degli affari giudiziari», previste in questa seconda fase (ex art. 83, comma 6, d.l. n. 18/2020).
Presupposto di loro adozione è un decreto del dirigente dell’ufficio giudiziario, «sentiti l’autorità sanitaria regionale ed il Consiglio dell’Ordine degli avvocati».
In questa seconda fase emergenziale, «onde evitare contatti ravvicinati tra le persone», molteplici sono le misure utilmente adottabili da parte dei dirigenti degli uffici nell’ottica di garantire la continuità dell’attività giudiziaria.
L’adozione delle misure appare formalmente discrezionale (“i capi degli uffici possono”: comma 7), per quanto le stesse si caratterizzino per una discrezionalità, entro certi limiti, vincolata, dato che sono le uniche in grado di garantire il funzionamento del sistema giudiziario senza eccessivi rischi per la salute dell’utenza e del personale:
Ecco le misure previste:
1) la limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari (lett. a);
2) la limitazione dell’orario di apertura al pubblico degli uffici (lett. b);
3) disporre che la «convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi» (lett. c), evitando così che tutte le cause di un ruolo siano chiamate alla stessa ora (ad es. alle ore 9 e seguenti); 4) la celebrazione a porte chiuse di tutte le udienze civili pubbliche ex art. 128 c.p.c. (lett. e);
5) la celebrazione delle udienze da remoto (lett. f);
6) ed infine «la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice» (lett. h).
Ebbene, quest’ultima modalità procedurale pare destinata ad incontrare maggior favore nella pratica applicativa, per la sua intrinseca duttilità, facilità di adozione e sostanziale consentaneità rispetto a schemi procedurali operativi consueti.
Ad essa sono dedicate le successive considerazioni.
Udienza cartolare ed ambito applicativo
Il comma 7 della lett. h) (dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020) ha introdotto una giustificata deroga al principio processuale sull’onere dei difensori di partecipazione alle udienze, pena la cancellazione della causa dal ruolo e successiva estinzione del processo (artt. 181 e 309 c.p.c.).
Il nuovo rito cartolare espressamente prevede lo “svolgimento dell’udienza civile” pur in assenza della fisica presenza dei difensori delle parti, i quali vi partecipano solo figuratamente (con un’evidente fictio), mediante scambio in telematico di note scritte.
Se è vero che lessicalmente “udienza” significa luogo di ascolto ove si sviluppa il contraddittorio tra le parti (art. 101 c.p.c.), nel quale i difensori delle parti possono discutere ed interloquire (v. art. 84 att. c.p.c.) ed in ciò si esplica la trattazione della causa (art. 183 c.p.c.), riferirsi (come fa il legislatore dell’emergenza Covid-19 nella lettera h) allo “svolgimento dell’udienza” costituisce null’altro che una finzione. Dato che l’udienza è in realtà priva dei difensori e caratterizzata unicamente dalla (eventuale) presenza del giudice (che si limita a redigere il processo verbale d’udienza: su cui infra).
La disposizione si presta ad una interpretazione che esclude totalmente la trattazione orale in favore di una trattazione unicamente scritta.
Nelle udienze fissate per adempimenti in cui non è necessaria la presenza di soggetti processuali diversi dai difensori, il giudice ha possibilità di provvedere senza che si sia tenuta udienza con effettiva comparizione dei difensori e quindi senza contraddittorio orale. L’onere di partecipazione viene assicurato garantendo la possibilità di uno scambio, con deposito telematico, di note scritte contenenti le istanze e conclusioni teoricamente proponibili oralmente. La comparizione delle parti è figurata, così come l’udienza che non c’è.
La trattazione scritta, affidata alle note scritte autorizzate, sostituisce la trattazione orale d’udienza.
In quali casi l’innovativo modus procedendi è applicabile?
La norma precisa che lo stesso è ammesso nelle «udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti».
Lessicalmente, siffatto presupposto è rinvenibile in molteplici udienze del processo civile di primo grado, alle quali non debbono partecipare le parti personalmente (come si verifica per il tentativo di conciliazione, art. 185 c.p.c.; ovvero, per l’interrogatorio formale; art. 230 c.p.c.; o il giuramento; art. 238 c.p.c.), ovvero soggetti estranei alla causa, quali sono gli ausiliari del giudice (artt. 193 e 196 c.p.c.), ovvero i testimoni (art. 251 c.p.c.).
In particolare, tale modus procedendi è sperimentabile per le seguenti tipologie di udienze:
1) di prima comparizione delle parti (art. 183, comma 1, c.p.c.)
2) di decisione sui mezzi istruttori, susseguenti alla scadenza dei termini di deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.; 3) di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.); 4) chiamate per discussione e decisione della causa (art. 281-sexies c.p.c.); 5) di correzione di omissioni ed errori materiali presenti nelle sentenze (art. 288, comma 2, c.p.c.).
Le attività delle parti
Come si dipana questa fictio di udienza?
Ebbene, lo sviluppo dell’iter procedurale risulta assai semplice. Derogando al generale principio dell’oralità della trattazione consacrato nell’art. 180 c.p.c., il legislatore dell’emergenza ha recuperato, seppur innovandolo ed innervandolo con lo strumento telematico, il contraddittorio scritto ben conosciuto dalla prassi ed ancora presente nel codice di rito riformato, laddove letto in filigrana.
Ci riferiamo alla possibilità che il g.i. aveva (ed a tutt’oggi in realtà conserva) di «autorizzare la trattazione scritta della causa» (art. 83-bis att. c.p.c., art. 180, comma 1, c.p.c., abrogato) mediante scambio autorizzato di comparse e memorie (art. 170, comma 4, c.p.c.).
Questa modalità tradizionale di trattazione scritta della causa si traduce oggi, in periodo emergenziale, nella possibilità di uno scambio scritto di note “in telematico”.
Come si vede, se lo strumento ed il veicolo di scambio degli atti nell’ottica del codice di rito è parzialmente nuovo, la sostanza e la funzione dello scambio è antico, dato che esso garantisce pur sempre l’attuazione del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.).
Non potendosi conservare l’udienza, intesa come luogo fisico di interlocuzione e trattazione della causa alla presenza dei difensori delle parti, il deposito delle “note scritte” sostituisce l’attività d’udienza ed il principio del contraddittorio è salvo (anche ex art. 111, comma 2, Cost.).
Valendosi del disposto (non abrogato) affidato all’art. 83-bis att. c.p.c., il g.i. potrebbe stabilire termini sfalsati per l’esplicazione del contraddittorio scritto e per il deposito delle “note”.
Dato che lo scambio telematico delle note scritte sostituisce l’interlocuzione d’udienza, non parrebbe da consigliare al giudice di concedere l’autorizzazione ad un duplice scambio di note, dato che le stesse non sostituiscono gli atti del processo, quali sono ad es. le memorie di cui al sesto comma dell’art. 183, c.p.c. e neppure le comparse conclusionali e le repliche.
Nella lettera h) dell’art. 83, il legislatore ha precisato che le note scritte si comunicano a controparte mediante «lo scambio e il deposito in telematico».
L’endiadi (“scambio e deposito”) parrebbe supporre la presenza di un duplice separato adempimento, prima lo scambio con controparte e poi il deposito in telematico.
In realtà, il deposito della nota scritta con modalità telematica parrebbe di per sé idonea a soddisfare l’esigenza di contraddittorio che la norma suppone. In quanto il deposito telematico di un documento ha il duplice effetto processuale di perfezionare la sua acquisizione agli atti del fascicolo telematico processuale e al contempo consentirne la ricezione nella sfera di conoscenza di controparte, che può agilmente prenderne visione. Da parte dei primi commentatori è stata poi suggerito di ritenere applicabile l’art. 309 c.p.c., laddove nessuna delle parti, a fronte dell’autorizzazione giudiziale, provveda allo scambio e deposito delle note scritte, con ciò intendendo manifestare disinteresse alla trattazione telematica ed alla prosecuzione del giudizio.
Lessicalmente, il legislatore ha autorizzato lo scambio di “note scritte”.
Se le parole hanno un senso, questo significa garantire una trattazione scritta assai stringata nella forma e soprattutto nel contenuto, con ciò ponendo al bando lunghe narrazioni. Non viene autorizzato il deposito di “comparse e memorie” come dispone l’art. 170, comma 4 c.p.c. (e pure l’art. 83-bis att. c.p.c.), che sono atti processuali tipici e formalizzati (in quanto aventi preciso contenuto, significato e valore processuale), ma delle “note” di replica, che garantiscono un contraddittorio succinto. E questa scelta legislativa appare logica, dato che tali note sostituiscono unicamente l’interlocuzione d’udienza, non certo gli atti processuali, quali quelli ex artt. 183, comma 6 e 190 c.p.c., assumendo il significato delle cd. note d’udienza.
V’è da chiedersi se con tali note sia ammessa produzione di documenti.
La risposta ci pare dipenda dallo stato in cui si trova il processo. Se la fictio d’udienza è individuabile in quella di cui al primo comma dell’art. 183 c.p.c. (prima udienza di comparizione e trattazione) la produzione documentale sembra ammissibile. Non lo sarà quando l’udienza sia quella di decisione sulle istanze istruttorie e men che meno quella di precisazione delle conclusioni, dato che si sono ormai formate le preclusioni istruttorie legate alla singola fase processuale.
Attività del giudice
Una volta effettuato lo scambio delle note scritte «contenenti le sole istanze e conclusioni», la disposizione di nuovo conio precisa che a tale adempimento segue «la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».
Nessun riferimento si rinviene in ordine alla necessità di redazione del processo verbale d’udienza da parte del magistrato.
In termini generali, il processo verbale “documenta” le attività che sono compiute nel corso del processo (art. 126 c.p.c.) e, in particolare, per quello che qui interessa, lo svolgimento della “trattazione della causa” (art. 180 c.p.c.).
Se quindi la trattazione della causa si è sviluppata tramite lo scambio di note scritte in telematico, il verbale potrebbe essere redatto limitandosi (se ritenuto necessario dal giudice) a dare atto dell’avvenuto adempimento.
Laddove poi il nuovo modulo procedurale introdotto dalla lett. h) (di cui all’art. 83 del d.l. cit.) venga adottato in funzione sostitutiva dell’udienza di discussione orale e decisione della causa (art. 281-sexies c.p.c.), il verbale d’udienza assume invece valore essenziale e ci pare processualmente insostituibile.
In tal caso la sentenza costituisce un tutt’uno col processo verbale d’udienza («la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in udienza»; comma 2) e quindi la redazione del processo verbale appare essenziale, dato che lo stesso contiene la sentenza.
In tal caso, poi, dato che la sentenza viene «pronunziata al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa» motivazione (art. 281-sexies, comma 1, c.p.c.), anche secondo la nuova modalità procedurale delineata dalla lett. h), la pronunzia pare doversi depositare in cancelleria, a pena di nullità, il giorno di redazione del verbale d’udienza.
Conclusione
In questo periodo di estrema fluidità pare assai difficile (se non impossibile al limite dell’azzardo) assumere qualche conclusione con riguardo al nuovo modulo decisorio emergenziale.
L’evolversi della legislazione resta legata al decorso ed alla remissione della pandemia, che necessariamente influenzerà non solo la durata del periodo di sospensione delle attività processuali, ma anche le decisioni parlamentari sul contenuto del d.l. quando lo stesso sarà discusso e convertito in legge.
La previsione normativa di un’udienza che si svolge mediante contraddittorio meramente cartolare presenta molteplici vantaggi; di costituire anzitutto un valido modulo procedimentale, che garantisce il contraddittorio tra le parti, evita contatti interpersonali in periodo di contagio e al contempo recupera un rito processuale già ampiamente utilizzato dalla prassi giudiziaria.
Addirittura, potrebbe ipotizzarsi che, data la sua semplicità anche di utilizzo, tale rito sia in grado di sostituire (in periodo emergenziale) il rito ordinario, divenendo il rito processuale generale di questa fase. Lo stesso non sembra infatti entrare in frizione con alcun canone o principio defensionale generale ed anzi conformandosi al giusto processo (v. art. 111 Cost.).
Guida all’approfondimento
-Caroleo, Ionta, L’udienza civile ai tempi del coronavirus. Comparizione figurata e trattazione scritta (art. 2, comma 2, lettera h, decreto legge 8 marzo 2020, n. 11), in Giustizia Insieme;
-De Stefano, L’emergenza sanitaria rimodula i tempi della Giustizia: i provvedimenti sul civile (note a primissima lettura del d.l. n. 11 del 2020), ivi.
(Fonte: ilprocessocivile.it)
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