È consentito il controllo a distanza del lavoratore, ma solo in presenza di determinate condizioni
Il Tribunale di Roma, con ordinanza n. 57668/18 del 13 giugno, affronta – tra gli altri – il tema della nuova disciplina dei controlli a distanza e della utilizzabilità delle informazioni raccolte dopo la novella apportata all’art. 4, l. n. 300/1970, dall’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151/2015.
Controlli a distanza. Secondo il Tribunale, dal nuovo testo dell’art. 4, l. n. 300/1970, non risulta più essere vietato, in termini assoluti, effettuare controlli a distanza sui lavoratori, sicché non appare più necessario (ove mai lo sia stato) appellarsi a “finalità difensive” per superare un divieto totalitario di controllo a distanza che non esiste più.
Per converso, sul come “si fa il controllo”, la novella ha posto limiti chiari e rigorosi, la cui osservanza non può più apparire eludibile in base al criterio per cui una volta che sì è scoperto “ex post” che il lavoratore ha commesso un illecito, l’esito del controllo risulta “ex post” “difensivo”. sicché non conta più come il datore ha acquisito quella informazione.
In buona sostanza il legislatore sembra ormai aver superato la logica per cui il lavoratore non può essere controllato a distanza salvo che non si dimostri che ci si è dovuti difendere perché è un delinquente, affermando l’opposto principio, che realizza normativamente il contemperamento tra interesse al controllo e protezione della dignità e riservatezza dei lavoratori sottraendola alle oscillazioni della giurisprudenza in materia, per cui il lavoratore può ben essere controllato con mezzi a distanza, ma nel rispetto di precise condizioni.
Regole per il controllo a distanza. Secondo il Tribunale di Roma, ai sensi dell’art. 4, l. n. 300/1970, come novellato dall’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151/2015, i lavoratori possono essere controllati con mezzi a distanza ma in presenza delle seguenti cumulative condizioni:
– a) l’impianto deve essere stato previamente autorizzato con accordo sindacale o dall’INL;
– b) l’impianto deve avere una o più delle finalità (diverse da quelle di controllare i lavoratori) previste dal primo comma dell’art. 4, l. n. 300/1970;
– c) il datore deve aver previamente informato il lavoratore che l’impianto è stato installato, e che vi si potranno esperire controlli (comma 3);
– d) il controllo deve essere esperito in conformità al Codice della privacy, il che comporta essenzialmente che esso va fatto secondo i principi di trasparenza, scopo legittimo e determinato, non invasività, ricavabili dall’art. 11, d.lgs. n. 196/2003 e s.m..
Le regole sub a) e sub b) che dettano, rimodulandolo, il regime procedurale autorizzatorio, non valgono per gli «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa», quali, evidentemente la email aziendale.
Le regole sub c) e sub d) valgono invece sempre, alla sola condizione che si tratti di «strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori». La posta elettronica rientra in tale categoria trattandosi di strumento che pur non avendo finalità di controllo ma finalità lavorative consente il controllo a “distanza” dell’operato del lavoratore.
Ne segue che per poter esperire il controllo del lavoratore su tale strumento il datore di lavoro deve, ai sensi del novellato terzo comma dell’art. 4, l. n. 300/1970, previamente «dare al lavoratore adeguata informazione delle modalità […] di effettuazione dei controlli», ossia avrebbe dovuto previamente avvisare il lavoratore: a) che la sua attività avrebbe potuto essere controllata mediante tale strumento; b) su come sarebbe stato esperito il controllo.
(Fonte: ilgiuslavorista.it)