Esclusi dalla ‘casa di vetro’ redditi e patrimoni dei dirigenti pubblici
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 20/19 depositata oggi, ha dichiarato illegittima l’estensione a tutti i dirigenti pubblici degli stessi obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici (art. 14, comma 1-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33). In particolare, si tratta degli obblighi di pubblicazione dei compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi e da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società.
Bilanciamento tra diritti. La Consulta ha ritenuto irragionevole il bilanciamento tra il diritto alla riservatezza dei dati personali, inteso come diritto a controllare la circolazione delle informazioni relative alla propria persona, e quello dei cittadini al libero accesso ai dati ed alle informazioni delle pubbliche amministrazione. Dunque, come si legge nel comunicato stampa che ha accompagnato la pubblicazione della sentenza, «pur riconoscendo che gli obblighi in questione sono funzionali all’obiettivo della trasparenza, e in particolare alla lotta alla corruzione nella Pubblica amministrazione», la Corte ha ritenuto violato il principio di proporzionalità.
«In vista della trasformazione della PA in una “casa di vetro”, il legislatore può prevedere strumenti che consentano a chiunque di accedere liberamente alle informazioni purché, però, la loro conoscenza sia ragionevolmente ed effettivamente collegata all’esercizio di un controllo sia sul corretto perseguimento delle funzioni istituzionali sia sull’impiego virtuoso delle risorse pubbliche. Ciò vale certamente per i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica nonché per le spese relative ai viaggi di servizio e alle missioni pagate con fondi pubblici. […] Non così per gli altri dati relativi ai redditi e al patrimonio personali, la cui pubblicazione era imposta, senza alcuna distinzione, per tutti i titolari di incarichi dirigenziali».
In conclusione. La soluzione più idonea a bilanciare i diritti in conflitto, assicurando anche il rispetto della privacy, non può però essere individuata dalla Corte Costituzionale: sarà il legislatore a dover «ridisegnare – con le necessarie diversificazioni e per tutte le pubbliche amministrazioni, anche non statali – il complessivo panorama dei destinatari degli obblighi di trasparenza e delle modalità con cui devono essere attuati, nel rispetto del principio di proporzionalità posto a presidio della privacy degli interessati».