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La conclusione dei contratti bancari all’epoca del covid-19: tra obblighi di forma e obblighi di comportamento

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La conclusione dei contratti bancari all’epoca del covid-19: tra obblighi di forma e obblighi di comportamento

Tra gli interventi normativi susseguitisi nella gestione dell’emergenza generata dal Covid-19, riveste un particolare interesse, sia sotto il profilo pratico che – in prospettiva – dogmatico e ricostruttivo, l’art. 4 d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto liquidità).

Mediante tale disposizione, con l’intento di agevolare la conclusione di contratti bancari – in una situazione che non consente, di fatto, la stipula di contratti mediante sottoscrizione di una scrittura privata, contestuale o anche solo per corrispondenza – il legislatore, per tutta la durata dello stato di emergenza decretato dal governo il 31 gennaio 2020 (allo stato, sino al 31 luglio 2020), ritiene integrato il requisito di forma scritta ad substantiam, prevista dal d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (d’ora in poi TUB) mediante manifestazione di consenso rilasciata dal cliente tramite «il proprio indirizzo di posta elettronica non certificata o con altro strumento idoneo»; questo a condizione che siano rispettati alcuni requisiti minimi diretti a tracciare la connessione tra il consenso prestato ed il soggetto che l’ha espresso (la trasmissione di «copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del contraente», l’espresso «riferimento a un contratto identificabile in modo certo», la conservazione «insieme al contratto medesimo con modalità tali da garantirne la sicurezza, integrità e immodificabilità» e la «messa a disposizione del cliente di copia del testo del contratto su supporto durevole»).

Pertanto, non solo si supera, pur transitoriamente, il concetto di forma scritta di matrice codicistica – equiparando l’efficacia della dichiarazione a mezzo posta certificata, o «altro strumento idoneo» (quale, ad es. Whatsapp, Skype, ecc.), a quella della scrittura privata di cui all’art. 2702 c.c. –, ma si deroga anche alle modalità di conclusione del contratto mediante lo scambio di documenti informatici disciplinata dal l’art. 20 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale, nel prosieguo, anche CAD), nella consapevolezza che la clientela privata non sia – generalmente – nelle condizioni di redigere un documento che rechi una «firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore». Nella sostanza, i contratti conclusi tramite firma digitale c.d. semplice – che, in base al secondo capoverso del comma 1-bis dell’art. 20 CAD, sarebbero «liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità» – sono equiparati ope legis ai contratti conclusi mediante apposizione di firma digitale, senza l’intervento giudiziale, con l’intento (esplicato dall’ABI nella circolare agli Associati del 9 aprile 2020) di evitare «il rischio che i relativi contratti possano risultare poi affetti da nullità ed assicurando agli stessi adeguata efficacia probatoria».

In un’ottica di contemperamento della celerità dello scambio del consenso (necessariamente a distanza), con l’esigenza di certezza, sottesa alla previsione di requisiti di forma nell’ambito delle operazioni bancarie, il legislatore dell’emergenza individua modalità operative che garantiscano la riferibilità della dichiarazione al clientee l’immodificabilità dell’atto su cui si è formato l’accordo delle parti.

Sotto quest’ultimo profilo, l’art. 4 d.l. n. 23 del 2020, pone a carico dell’istituto di credito l’obbligo di conservare la documentazione trasmessa dal cliente e il contratto, con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità. In attesa di eventuali specificazioni tecniche degli organi competenti, non può che farsi riferimento alle regole tecniche sul documento informatico di cui al d.P.C.M. 13 novembre 2014 e alle regole tecniche sulla conservazione di cui al d.P.C.M. 3 dicembre 2013 (attualmente vigenti, in attesa dell’emanazione delle nuove Linee guida, previste dall’art. 71 CAD).

L’imputabilità della dichiarazione al cliente si ritiene sufficientemente garantita tramite l’allegazione, alla comunicazione a mezzo posta elettronica con cui il cliente esprime la propria volontà, di copia di documento di riconoscimento in corso di validità. In assenza di strumenti tecnico–informatici (quali la firma digitale) che consentano la certa imputabilità della manifestazione di volontà al dichiarante, l’invio della copia per immagine del documento, oltre che non sempre possibile per lo stesso cliente, non appare, in effetti, di per sé idonea a garantire la riferibilità della dichiarazione di volontà al soggetto che apparentemente invia la comunicazione di accettazione a mezzo posta elettronica: da questo punto di vista, dunque, la soluzione normativa può destare qualche perplessità. Un maggior grado di certezza della riferibilità della dichiarazione al mittente, oltre che una sicura identificazione del contratto di riferimento, potrebbero, forse, essere consentiti tramite l’apposizione della firma del contraente sulla copia analogica del contratto, successivamente digitalizzata (auspicabilmente mediante l’uso di applicazioni in grado di rendere il documento immodificabile) e quindi trasmessa alla banca. Soluzione, questa, che potrebbe forse attenuare (seppur non certo elidere) il rischio – invero non adeguatamente affrontato dalla norma in commento – che il contraente, magari a pandemia superata, possa ritenere non conveniente il contratto sottoscritto, e disconoscere la manifestazione di volontà, resa (solo) a mezzo e-mail, con conseguente lesione (in ipotesi contraria a buona fede) dell’affidamento riposto dalla banca, al cospetto di una comunicazione e di una sottoscrizione apparentemente rilasciata dal cliente, ma che questi possa, poi, dimostrare che sia stata trasmessa da un account di posta elettronica diverso dal suo.

Da ultimo, il legislatore si premura di assicurare al cliente la disponibilità «di copia del testo del contratto su supporto durevole», in ossequio alla funzione propria del requisito di forma scritta (e consegna del documento contrattuale) imposto nella contrattazione bancaria, di veicolare le informazioni sulle condizioni contrattuali applicate, onde consentirgli di vagliare la conformità delle stesse a quelle pubblicizzate. L’invio del documento informatico (redatto secondo le previsioni degli artt. 20 ss. CAD e sottoscritto digitalmente, da soggetto legittimato a rappresentare la banca) rappresenta, allo stesso tempo, uno dei criteri di imputabilità della volontà contrattuale all’istituto di credito.

Al di là di alcune perplessità legate agli aspetti tecnici relativi alle peculiari modalità di conclusione del contratto, ci si deve chiedere come l’art. 4 d.l. n. 23 del 2020 si innesti nella linea evolutiva che ha riguardato il concetto di forma contrattuale, in particolare nell’ambito dei contratti tra diseguali (di cui le operazioni bancarie costituiscono un punto di emersione privilegiato, anche nella più recente elaborazione giurisprudenziale). Si tratta, cioè, di verificare se la disciplina, delineata sulla spinta di esigenze contingenti, possa avere un più ampio respiro sistematico, al di là della temperie emergenziale, e possa in particolare avere una qualche incidenza permanente sul concreto atteggiarsi del requisito di forma scritta, nell’ambito del segmento dei contratti bancari e, in prospettiva più ampia, della contrattazione consumeristica in generale.

Nella normativa settoriale a tutela del contraente debole, si è assistito, infatti, alla procedimentalizzazione della fase di formazione, in cui alla previsione di requisiti di forma e contenuto si giustappongono obblighi di condotta precontrattuali, al fine di favorire l’intellegibilità degli atti, in una prospettiva di riequilibrio della disparità conoscitiva e, allo stesso tempo – mediante la cristallizzazione degli elementi rilevanti all’interno del regolamento contrattuale – di agevolazione, nella fase esecutiva, della verifica della rispondenza di ciò che concretamente si è ottenuto a quanto promesso nelle trattative e poi trasfuso nel contratto.

In questo contesto, l’obbligo di forma scritta, da elemento puramente strutturale – secondo il paradigma della scrittura privata sottoscritta da entrambe le parti, ai sensi dell’art. 2702 c.c. – si è trasforma, sempre di più, in elemento funzionale, e dunque (appunto) dovere di comportamento posto a carico del professionista (alla cui violazione il legislatore espressamente riconnette la nullità relativa), con lo scopo di tutelare una delle due parti.

Si è dunque al cospetto di una forma (di protezione), propria della contrattazione tra diseguali, non prevista ad substantiam, avente una funzione prettamente informativa (non richiedente la sottoscrizione del documento da parte del contraente forte) e la cui carenza dà luogo alla nullità relativa del contratto, se espressamente prevista.

Nel processo di funzionalizzazione della forma contrattuale, la scrittura privata sottoscritta da entrambe le parti è solo uno dei modelli attraverso cui si concretizza la forma scritta, ben potendo essere integrato il requisito di forma dal compimento di attività diverse (quale la consegna del medesimo documento al cliente) e, soprattutto, ben potendo essere la manifestazione di volontà di una delle parti surrogata da condotte equipollenti.

L’art. 4 d.l. 23 del 2020 si inserisce appieno in questo processo, incentrandosi su una serie di obblighi di condotta, tesi a garantire:

1) la consapevole accettazione, da parte del contraente meno informato, di un regolamento negoziale predisposto dalla banca, mediante il riferimento obbligatorio «ad un contratto identificabile in modo certo», che il cliente dichiara di aver ricevuto dalla banca, la quale, a sua volta, conserverà detto contratto e le comunicazioni intercorse tra le parti;

2) la costante possibilità di verifica della rispondenza delle condizioni praticate a quelle pattuite: di qui la previsione della «messa a disposizione del cliente di copia del testo del contratto su supporto durevole» e l’obbligo di conservazione «insieme al contratto medesimo con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità»;

3) la riferibilità della dichiarazione negoziale al cliente (perseguita mediante la previsione che l’e-mail sia accompagnata «da copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del contraente»), senza alcuna specificazione circa le modalità operative attraverso le quali la banca debba apporre la sottoscrizione sul documento contrattuale. La soluzione riecheggia il più recente orientamento della Corte di Cassazione (riferibile alla sentenza, resa dalle Sezioni Unite del 16 gennaio 2018, n. 898), che ritiene integrato il requisito della forma scritta imposto per i contratti bancari ove il contratto sia redatto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, escludendo la necessità della sottoscrizione della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dalla stessa tenuti. Ed è evidente che il consenso della banca possa essere desunto dallo stesso invio al cliente (a mezzo posta elettronica) del testo contrattuale, sottoscritto digitalmente.

Il dato di maggior rilievo, anche prospettico, della norma in commento è dunque rappresentato dalla marcata accentuazione – già insita nella peculiare disciplina della forma dei contratti bancari – della dimensione funzionale dell’obbligo di forma dei contratti bancari, con l’intento primario di garantire la libera esplicazione della volontà del cliente, realizzabile attraverso forme più flessibili rispetto allo scambio di una scrittura privata sottoscritta da entrambe le parti ovvero, seppur in casi eccezionali, alla redazione di un documento che rispetti tutti i requisiti di cui all’art. 20 CAD (non agevolmente disponibili per la clientela al dettaglio): questo almeno nella misura in cui gli strumenti tecnici utilizzati siano in grado di attestare la ricezione da parte del cliente di un documento contrattuale immodificabile e garantire la riferibilità della manifestazione del consenso sullo stesso al dichiarante.

Superate le problematiche tecniche, sopra poste in evidenza, quello delineato dall’art. 4 d.l. n. 23 del 2020 è un modello senz’altro destinato ad incidere – in attesa di una digitalizzazione completa – sul processo di semplificazione della contrattazione bancaria e delle modalità di formalizzazione dell’accordo contrattuale, anche al di là della contingenza emergenziale.

In questo senso, viene da chiedersi quale sia la sorte di un contratto redatto fuori dal periodo di efficacia del d.l. n. 23 del 2020, secondo le modalità tecnico-operative ivi previste e che abbia avuto esecuzione nel tempo. Il Giudice – chiamato a valutare liberamente «l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta», ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, CAD – potrà, in presenza di un contratto inviato su supporto durevole dalla banca al cliente e richiamato da quest’ultimo nella dichiarazione di accettazione delle condizioni ivi previste, trasmessa a mezzo e-mail (non certificata), ritenere che lo stesso non rispetti il requisito di forma di cui all’art. 117 TUB? Sarà difficile – se non in ossequio al paradigma normativo di cui all’art. 2702 c.c. – sostenere che lo scopo di tutela delle disposizioni in materia di formazione dei contratti bancari non sia stato raggiunto, salvo ovviamente valutare il contegno tenuto dalle parti nella fase esecutiva e sempre ferma la possibilità per il cliente di provare che la manifestazione di volontà non fosse a sé riferibile.

La disposizione in commento (è prevedibile, ed auspicabile) avrà dunque, quanto meno, il meritorio effetto di accelerare procedure di conclusione dei contratti digitalizzate, anche nella prestazione dei servizi al dettaglio, individuando – attraverso gli strumenti informatici – sistemi semplificati, fruibili dalla maggioranza della clientela, in conformità a quanto previsto dal CAD (ormai risalente a quindici anni fa), e contemperando le esigenze di celerità e di certezza dei traffici.

Un ultimo cenno merita il profilo rimediale. Se il mancato rispetto delle modalità operative delineate dalla norma in esame (l’invio di «copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del contraente», il riferimento «ad un contratto identificabile in modo certo») integra la carenza di un elemento del requisito di forma previsto dalle disposizioni disciplinanti i contratti bancari, e comporta la nullità (testuale) prevista dall’art. 117 TUB, ci si deve chiedere cosa accada se siano violati gli ulteriori obblighi di condotta previsti dall’art. 4 d.l. n. 23 del 2020, non incidenti sulle modalità di esternazione della volontà del cliente.

In particolare, cosa accade se la Banca non adempie all’obbligo di conservare la documentazione relativa alla conclusione del contratto «insieme al contratto medesimo», con modalità tali da «garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità»? Si tratta, senz’altro, di un elemento essenziale nella catena procedurale che conduce alla conclusione del contratto, nella prospettiva di garantire l’immodificabilità della documentazione contrattuale e, pertanto, un’eventuale mancanza dello stesso è destinato a determinare la nullità (relativa) del contratto.

Qual è la sorte del contratto, ove l’intermediario non consegni «copia cartacea del contratto al cliente alla prima occasione utile successiva al termine dello stato di emergenza»? Al riguardo, appare invece difficile sostenere che la validità di un contratto, perfezionatosi in conformità al disposto dell’art. 4 d.l. n. 23 del 2020, e che abbia prodotto i propri effetti nel periodo di efficacia di quest’ultima disposizione normativa, possa risentire di una condotta, tenuta in fase esecutiva, dall’intermediario, dalla quale potrà discendere semmai una responsabilità risarcitoria a carico di quest’ultimo per l’eventuale danno risentito dal cliente. È poi, evidente che, ove la mancata consegna del documento cartaceo sia determinata dalla condotta elusiva del cliente (in ipotesi, strumentale al tentativo di liberarsi da un vincolo ritenuto non più conveniente), la mancata consegna non potrà risolversi in pregiudizio dell’intermediario, trattandosi di un comportamento del cliente chiaramente contrario a buona fede.

(Fonte: giustiziacivile.com)

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