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La falcidiabilità dell’IVA nella procedura di sovraindebitamento secondo la Consulta

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La falcidiabilità dell’IVA nella procedura di sovraindebitamento secondo la Consulta

Sul tema si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 245/19 depositata il 29 novembre, ritenendo fondata la censura sollevata dal Tribunale di Udine con ordinanza del 14 maggio 2018.

La questione. La norma finita sotto la lente della Consulta (art. 7, comma 1, terzo periodo, legge 27 gennaio 2012, n. 3 recante Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra-indebitamento) prevede che il piano di ristrutturazione dei debiti proposto ai creditori può prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca «allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi». Viene poi precisato che «[i]n ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». Di conseguenza, a differenza delle altre ragioni di credito tributarie, soggette a possibile falcidia, l’adempimento legato all’IVA può dunque essere oggetto di dilazione, ma non di parziale decurtazione. Il giudice a quo ha ravvisato dunque la violazione dell’art. 3 Cost., sotto diversi profili.

Illegittimità costituzionale. Sottolineando il parallelismo tra la domanda di concordato preventivo e l’accordo con i creditori in caso di sovraindebitamento di soggetti non fallibili, la Consulta chiarisce come «emerge con chiarezza come entrambe le procedure abbiano una base negoziale (giacché passano imprescindibilmente da una deliberazione di assenso, anche tacito, dei creditori) che non le pone, tuttavia, al di fuori dell’area delle procedure concorsuali».

La Corte ripercorre quindi l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema, giungendo a ritenere fondata la censura per «l’attuale ingiustificata dissonanza di disciplina che sussiste, in parte qua, tra le due procedure, non essendovi motivi che, secondo il canore della ragionevolezza, legittimino il trattamento differenziato cui risultano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che possono accedere al concordato preventivo».

In conclusione, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: «all’imposta sul valore aggiunto».