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Le nuove disposizioni in materia societaria volte a fronteggiare l’emergenza

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Le nuove disposizioni in materia societaria volte a fronteggiare l’emergenza

Le “disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale”

Con l’art. 6, innanzitutto, è stata prevista una parziale sospensione, sino alla data del 31 dicembre 2020, dell’applicazione delle regole generali previste dal codice civile, sia per la s.p.a. che per la s.r.l., in materia di perdite del capitale sociale (artt. 2446 e 2447 c.c., per la s.p.a., e artt. 2482-bis e 2482-ter, c.c., per la s.r.l.).

La disapplicazione di tali regole è parziale (oltre che temporanea, appunto) in quanto,qualora si verifichi una delle situazioni in esse contemplate, non viene meno l’obbligo degli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea sottoponendole una situazione patrimoniale aggiornata (non sono derogati, infatti, il 1° comma dell’art. 2446 c.c. e i primi tre commi dell’art. 2482-bis c.c., pacificamente applicabili anche alle più gravi fattispecie di cui agli artt. 2447 e 2482-ter c.c.). Nella fase emergenziale in corso, non è invece richiesto, qualora le perdite del capitale sociale rilevanti (superiori al terzo e/o tali da ridurlo al di sotto del minimo legale) si siano manifestate entro il 31 dicembre 2020, di: i) deliberare la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate ove entro l’esercizio successivo le perdite stesse non siano diminuite a meno di un terzo (nei casi di cui agli artt. 2446 e 2482-bis c.c.); ii) deliberare immediatamente la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento ad una cifra superiore al minimo legale, oppure la trasformazione della società (nei casi di cui agli artt. 2447 e 2482-ter c.c.).

In sostanza, le assemblee delle società di capitali potranno attendere, prima di decidere di compiere operazioni sul capitale pur perduto (parzialmente o anche integralmente), senza che si verifichi la causa di scioglimento di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. (dichiarata infatti espressamente non operante sempre dall’art. 6 del Decreto, al pari della corrispondente causa di scioglimento prevista dall’art. 2545-duodecies c.c. per le società cooperative).

Se non c’è dubbio che la disciplina in questione (ossia la parziale deroga alle richiamate norme del codice civile) sia destinata ad operare nel periodo che va dall’entrata in vigore del Decreto Liquidità (9 aprile 2020) sino al 31 dicembre 2020, è interessante notare che l’art. 6 del Decreto stesso sancisce l’applicabilità della stessa a tutte “le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro” il 31 dicembre 2020: stando alla lettera della norma, dunque, il riferimento parrebbe non soltanto alle perdite del capitale superiori al terzo che siano emerse nel corso dell’intero l’esercizio 2020 (ed allora anche prima del 9 aprile 2020), bensì anche a quelle sorte negli esercizi precedenti. In realtà, ad una simile estensione si oppone il passo della Relazione Illustrativa al Decreto là dove, proprio con riferimento all’art. 6, vengono menzionate le perdite di capitale “dovute alla crisi da Covid-19”, con la conseguenza che dovrebbero necessariamente rientrarvi solo quelle emerse dopo il 23 febbraio 2020 (data di riferimento dell’inizio dell’emergenza epidemiologica).

È opportuno sottolineare che la permanenza dell’obbligo degli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea, nelle situazioni di perdita del capitale superiore al terzo, implica che essi dovrebbero andare esenti da responsabilità soltanto se la prosecuzione dell’attività in costanza di perdite sia stata decisa dall’assemblea (e non anche, appunto, qualora essi abbiano omesso di convocarla): tale conclusione è corroborata dalla Relazione Illustrativa all’art. 6 del Decreto, la quale, pur dichiarando l’intento di evitare agli amministratori “il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa”, chiarisce che “resta comunque ferma la previsione in tema di informativa ai soci” (sebbene stranamente riferita solo alla s.p.a. e non anche alla s.r.l.).

Le “disposizioni temporanee” in materia di redazione dei bilanci

Alla medesima logica di “congelamento”, per quanto possibile, delle ripercussioni negative dell’emergenza sulla situazione patrimoniale delle società, è ispirato anche l’art. 7 del Decreto Liquidità, sia pure con norme – in tema di redazione dei bilanci interessati dalla fase attuale – probabilmente non del tutto immuni da qualche dubbio interpretativo.

Innanzitutto, si prevede che nella redazione “del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020” (si tratterà, nella stragrande maggioranza dei casi, del bilancio dell’esercizio che si chiuderà il 31 dicembre 2020 e dunque quello relativo all’anno in corso) sarà comunque possibile una valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell’attività, “se risulta sussistente” (la continuità aziendale, è da intendersi) “nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020”.

È piuttosto evidente l’intento di far sì che i bilanci dell’esercizio in corso (che si chiuderà, appunto, il 31 dicembre 2020), non siano ulteriormente “appesantiti” – più di quanto la fase emergenziale quasi inevitabilmente implicherà – da una valutazione delle voci in ottica liquidatoria, che fosse eventualmente ed in linea di principio richiesta dal possibile venir meno dei requisiti di continuità aziendale in conseguenza della crisi in atto: di tale beneficio, tuttavia, potranno godere soltanto le imprese il cui ultimo bilancio riferito a data anteriore al 23 febbraio 2020 evidenziasse una situazione di continuità, deterioratasi dunque soltanto a motivo dell’emergenza economico-sanitaria insorta.

Non parrebbero infatti esserci dubbi sul fatto che l’aggettivo “chiuso”, nell’inciso sopra riportato, sia da riferire all’ultimo esercizio (conclusosi appunto prima del 23 febbraio 2020) e non tanto al bilancio di tale esercizio, come sembra confermare anche l’esplicita previsione di salvezza di quanto disposto dall’art. 106 del D.L. n. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”): quest’ultimo richiamo, cioè, dovrebbe proprio indicare, in particolare, che resta ferma la possibilità di convocare l’assemblea per l’approvazione dell’ultimo bilancio precedente al 23 febbraio 2020 entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio (e che tale bilancio, quindi, non debba necessariamente essere già stato “chiuso” prima del 23 febbraio 2020 al fine di poter usufruire dell’applicazione della norma in esame).

Si prevede altresì che i criteri di valutazione siano specificamente illustrati nella nota integrativa anche mediante il richiamo delle risultanze dell’esercizio precedente.

Meno immediata, invece, è forse la comprensione del comma 2 del medesimo art. 7 del Decreto Liquidità, il quale si limita a disporre – in modo non del tutto perspicuo – che “le disposizioni di cui al comma 1 [ossia quelle sin qui esposte, n.d.r.] si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati”.

Nessun problema dovrebbe sollevare, anche in questo caso, il richiamo (indiretto) all’art. 106 del Decreto “Cura Italia”, norma riferita proprio all’approvazione dei bilanci degli esercizi chiusi il 31 dicembre 2019. Per il resto, il richiamo contenuto nel 2° comma a quanto disposto nel 1° comma potrebbe suscitare più di un interrogativo.

Non sembra, innanzitutto, che questo richiamo possa essere inteso nel senso che il bilancio al 31 dicembre 2019 (o comunque l’ultimo riferito a data precedente al 23 febbraio 2020) possa essere sempre redatto in una prospettiva di continuità semplicemente in forza del fatto che il precedente bilancio (verosimilmente quello al 31 dicembre 2018) evidenziasse la sussistenza della continuità aziendale: soluzione, questa, che sembra estranea alla logica che ispira le norme in esame. Parimenti da scartare appare una interpretazione del 2° comma che distingua a seconda che il bilancio dell’ultimo esercizio precedente al 23 febbraio 2020 sia stato o meno “chiuso” (cioè approvato o quantomeno predisposto) prima di tale data: lettura, questa, che si porrebbe in contrasto con la sicura possibilità, come si è visto, di predisporre ed approvare tale bilancio addirittura in un termine più lungo di quello ordinario (ai sensi dell’art. 106 del Decreto “Cura Italia”). Non resta, allora, che interpretare il 2° comma dell’art. 7 del Decreto nel senso che, fermo restando l’obbligo di dare conto dei fatti di rilievo verificatisi dopo la chiusura dell’esercizio, tali fatti – che coincideranno evidentemente soprattutto con gli effetti economico-finanziari originati dalla pandemia – non incideranno di per sé, nemmeno nell’ambito di un impairment test, sulla valutazione della sussistenza della continuità aziendale e dunque delle singole voci di bilancio (secondo quanto prescriverebbe invece, in linea generale, il principio contabile OIC 29).

Ancora, potrebbe darsi il caso di società il cui esercizio sociale si concluda il 30 giugno anziché il 31 dicembre di ogni anno: come dovranno comportarsi queste società, chiamate a redigere un bilancio riferito al 30 giugno 2020? Certamente non potrebbe applicarsi il 1° comma dell’art. 7 del Decreto, riferito all’esercizio “in corso al 31 dicembre 2020”. Ma come potrà eventualmente applicarsi il 2° comma? Le soluzioni possibili appaiono due, ovverosia: i) quella di ritenere che l’esistenza della continuità aziendale al 30 giugno 2019 sia sufficiente a consentire la redazione di un ulteriore bilancio (quello al 30 giugno 2020, appunto) nella prospettiva della continuità; ii) quella (forse preferibile) di richiedere a tal fine che la prospettiva della continuazione dell’attività fosse ancora presente almeno al momento dell’inizio “ufficiale” della pandemia (cioè alla data del 23 febbraio 2020).

Un’altra e forse ancor più delicata questione che può profilarsi è se e come le previsioni dell’art. 6 del Decreto – in tema di sospensione delle norme generali in tema di perdite del capitale e scioglimento della società – possano ed anzi debbano coordinarsi con le regole, definite sempre “temporanee”, di redazione dei bilanci, dettate dall’art. 7: è evidente, infatti, che una situazione di perdita del capitale sociale potrebbe emergere o meno – in un bilancio o anche in una situazione patrimoniale infrannuale – a seconda dei diversi criteri ed approcci valutativi che si decidano di impiegare, peraltro nell’ambito di una discrezionalità che risulta ampliata proprio dal complessivo tenore dell’art. 7.

Di fronte ad un simile interrogativo, una soluzione accettabile dal punto di vista operativo potrebbe essere la seguente:

i) se al 31 dicembre 2019 fosse già emersa una perdita del capitale e la continuità aziendale fosse già perduta, non potrebbero applicarsi le norme di favore di cui agli artt. 6 e 7 del Decreto;

ii) ove invece la prospettiva della continuazione dell’attività risulti essere stata intaccata solo a seguito dell’emergenza da Covid-19, tale scenario non dovrebbe influire sulla valutazione delle voci del bilancio dell’ultimo esercizio precedente al 23 febbraio 2020 (sostanzialmente quello al 31 dicembre 2019, dunque), sicché ciò non potrebbe ripercuotersi in una valutazione delle voci in chiave liquidatoria (tale eventualmente da far emergere una perdita rilevante del capitale sociale);

iii) se la stessa situazione si verificasse con riferimento al bilancio al 31 dicembre 2020, tanto più si dovrebbe raggiungere la medesima conclusione, atteso che allo stato (in mancanza di ulteriori interventi normativi futuri, naturalmente), sebbene la disapplicazione delle norme in tema di perdite del capitale sia consentita solo fino al 31 dicembre 2020, la possibilità di redigere il bilancio dell’esercizio 2020 in chiave di continuità aziendale consentirebbe, nel caso descritto, di non rappresentare una eventuale perdita del capitale sociale che dovesse emergere sulla base di valutazioni effettuate con criterio diverso;

iv) ancora, in una analoga situazione che dovesse invece presentarsi nell’arco dell’esercizio attuale (sostanzialmente durante il 2020), non sembra che gli amministratori possano esimersi dal convocare senza indugio l’assemblea – nel corso dell’esercizio, appunto -rifacendosi semplicemente al fatto che la consentita valutazione di continuità aziendale permetterebbe di evitare l’emersione di una perdita: infatti, proprio perché gli obblighi gravanti sugli amministratori ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c. (e delle corrispondenti norme in materia di s.r.l.) non vengono meno, essi, in un’ottica prudenziale ed in ottemperanza ai loro obblighi di diligenza professionale che non possono certo ritenersi derogati o sospesi, dovrebbero sempre sottoporre all’assemblea ogni situazione di potenziale allarme, affinché siano i soci a prendere (o a rinviare) ogni decisione e provvedimento al riguardo.

L’esigenza di un coordinamento tra le norme dettate dagli artt. 6 e 7 del Decreto, e la praticabilità della complessiva soluzione ipotizzata, sembrano scaturire anche dalla Relazione Illustrativa, là dove, con riferimento all’art. 6, sottolinea l’esigenza di evitare che le perdite del capitale determinino “condizioni di immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti”: in sintesi, se è vero che una valutazione degli elementi patrimoniali nella prospettiva della continuazione dell’attività potrebbe contribuire ad escludere l’emersione di una perdita del capitale, è al contempo vero che quest’ultima, in assenza di disponibilità dei soci a ricapitalizzare la società, determinerebbe lo scioglimento e quindi il venir meno della continuità aziendale (situazione che il Decreto mira però a scongiurare, quantomeno per le imprese di per sé sane e trovatesi ad affrontare quella che al momento è una crisi eminentemente finanziaria).

Le “disposizioni temporanee” in materia di finanziamenti alle società

Ancora, l’art. 8 del Decreto dichiara inapplicabili gli artt. 2467 e 2497quinquiesc.c. ai finanziamenti effettuati dai soci a favore delle società dalla data di entrata in vigore del Decreto stesso sino al 31 dicembre 2020.

In questo caso, il campo di applicazione della norma è particolarmente ampio e manifesta l’intento di incentivare il massimo afflusso di risorse finanziarie alle imprese, anche in forma di prestiti dei soci che, secondo le regole generali, sarebbero soggetti alla regola della postergazione ed a quella della restituzione del rimborso se avvenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento della società.

Interessante appare, in particolare, la circostanza che, a differenza di quanto previsto dall’art. 7 in materia di redazione dei bilanci, il beneficio non è limitato alle società che si trovassero in una situazione di solidità patrimoniale e finanziaria prima della data di inizio dell’emergenza sanitaria (identificata, come si è visto, con quella del 23 febbraio 2020): la norma, infatti, vale sì per i soli prestiti eseguiti dai soci dopo la sua entrata in vigore, ma anche qualora la situazione di squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto (o l’esigenza di patrimonializzazione della società) preesistessero al manifestarsi degli effetti dell’epidemia sull’economia.

(Fonte: ilsocietario.it)

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