L’EU Digital COVID Certificate operativo da fine giugno
Il ‘digital green certificate’, secondo l’accezione inglese, prevedeva di includere una prova dell’avvenuta vaccinazione contro il virus, ovvero un test PCR negativo, ovvero il fatto di aver già avuto la malattia.
L’intenzione del legislatore era quella di creare un dispositivo versatile, soprattutto in formato digitale, ma anche cartaceo, che includesse un QR code (Quick Response Code – Codice a Riscontro Rapido), elemento indispensabile per garantire l’autenticità e l’affidabilità del documento.
La salute pubblica non è un settore di competenza esclusiva dell’Unione, ma concorrente (ex art. 3 TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) ed eventualmente di sostegno (ex. Art. 4 del TFUE). Pertanto vige il principio di sussidiarietà, dove l’istituzione internazionale «interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione» (ex. art 5-3 TFUE).
In applicazione delle premesse citate, ogni Stato Membro rimane in possesso della facoltà di stabilire quali restrizioni applicare ai cittadini in ingresso sul proprio territorio, in relazione all’emergenza COVID-19. Lo scopo della proposta del nuovo certificato digitale era quello di spingere tali Paesi a inserire il green certificate tra i documenti garanti di una circolazione libera, o quantomeno facilitata, attraverso le proprie frontiere.
Il commissario alla Giustizia, Didier Reynders aveva sottolineato che il nuovo pass doveva garantire ai cittadini dell’Unione e alle loro famiglie di poter viaggiare in sicurezza e con restrizioni minime durante l’estate a venire.
Il progetto prevedeva d’integrare tre tipi di certificato:
– uno riguardante l’avvenuta vaccinazione,
– un secondo comprovante la negatività del test PCR o dell’antigenico
– e un terzo in relazione al fatto che un individuo abbia già avuto la malattia.
Dal 17 marzo 2021 le cose sono divenute più precise e l’ultimo aggiornamento è stato fornito da un comunicato stampa della Commissione del 20 maggio 2021.
Il nome definitivo del nuovo certificato è EU Digital COVID Certificate (Certificato Digitale Covid dell’Unione Europea). Il documento sarà operativo per la fine del mese di giugno 2021.
Le istituzioni europee hanno confermato il modello a tre certificati, dove uno sarà sufficiente per circolare, fermo restando le restrizioni fissate dai singoli Stati.
Questo sistema quindi, sostenuto da un supporto giuridico in fase di finalizzazione e pubblicazione, presenta molti vantaggi dal punto di vista del legislatore. Tuttavia, diversi punti restano oscuri, soprattutto in relazione alle lacune che la pandemia e le misure per contrastarla presentano dal punto di vista scientifico.
L’efficacia vaccinale non è del 100%, i soggetti vaccinati possono eventualmente trasmettere il virus se portatori, l’aver contratto la malattia non garantisce l’assenza di re-infezione, un vaccino pediatrico su larga scala, la cui utilità è tra l’altro molto discutibile, non è ancora operativo, Paesi Membri hanno vaccinato la propria popolazione con presidi non approvati dalla European Medicines Agency (Agenzia Europea del Farmaco), la sensibilità dei test antigenici è bassa.
A titolo di esempio, un recente studio del Cochrane Database, pubblicato in marzo, ha riscontrato che i test antigenici identificano correttamente la presenza dell’infezione nel 72% dei pazienti sintomatici, mentre il tasso scende al 58% per le persone portatrici del virus ma asintomatiche.
I test antigenici risultano affidabili quando positivi (98,9-99,5%) ma molto meno quando negativi, essendo gravati da un livello elevato di ‘falsi negativi’.
Il presente scritto non ha vocazione di entrare nel merito delle prese di posizione dell’Unione, lecite se consideriamo il punto di vista della ripresa delle attività economiche e sociali, ma non si può non constatare come le decisioni a livello istituzionale tengano conto in maniera limitata i dati scientifici, i quali giustificano solo in parte la promulgazione di un documento quale l’EU Digital COVID Certificate. La rapidità con cui il nuovo ‘Pass’ sta per essere approvato ricorda le procedure fast-track che hanno condotto alla messa a punto dei dispositivi vaccinali, singolare legame tra diritto e scienza nell’emergenza che stiamo ancora vivendo.