‘Mia moglie non cucina e non lava i panni’: il marito si lamenta ma la separazione non è addebitabile alla moglie
Moglie e marito pari sono. Anche nella suddivisione dei compiti per portare avanti materialmente ogni giorno la famiglia, come, ad esempio, cucinare, fare la spesa e lavare i panni. Ciò comporta che l’uomo non può addebitare la crisi della coppia alla consorte che non si comporta da casalinga provetta e in servizio permanente (Tribunale di Foggia, sentenza n. 1092/21, sez. I Civile, depositata il 5 maggio).
Definitiva la rottura del matrimonio – come testimoniato anche dall’esito negativo del tentativo di conciliazione –, moglie e marito provano ad addossarsi la colpa. Necessario perciò valutare le opposte versioni e le opposte ipotesi di addebito della separazione.
Per i giudici del Tribunale, però, né l’uomo né la donna sono riusciti a dimostrare che «la frattura si è prodotta per la violazione, attribuibile al partner, dei doveri e degli obblighi che scaturiscono dal matrimonio».
Sicuramente singolare, però, la versione fornita dall’uomo, il quale si è lamentato dinanzi al giudice, spiegando che «la moglie ha mostrato un contegno di disinteresse e di indifferenza per il partner, contegno teso a violare gli obblighi coniugali della collaborazione e della contribuzione nell’interesse della famiglia» nonché a far mancare «l’assistenza materiale e morale».
In particolare, l’uomo parla di «comportamenti manifestati nel rifiuto» della moglie «di predisporre piatti caldi, piuttosto che lavare gli indumenti personali», e aggiunge, in sostanza, di avere spesso «provveduto a fare la spesa» e di essersi spesso recato «a consumare la colazione a casa della madre», la quale poi provvedeva «a lavargli gli abiti da lavoro».
Per i giudici, però, è impensabile, a fronte del quadro tracciato dall’uomo, «attribuire alla donna una tale trasgressione degli elementari doveri di collaborazione tale da giudicarla colpevole di un sostanziale abbandono del nucleo famigliare».
In sostanza, si è appurato che «talora il marito faceva la spesa» e che egli «soleva far lavare gli abiti da lavoro dalla madre», circostanza, questa, peraltro «giustificata dalla moglie con l’esigenza di non contaminare gli indumenti del figlio minore».
Per smontare le lamentele dell’uomo i giudici ribattono col buon senso, ricordando che «a seguito del matrimonio i coniugi assumono gli stessi diritti e gli stessi doveri, sono tenuti all’obbligo reciproco di fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia ed alla coabitazione».
Insomma, moglie e marito «sono posti su un piano del tutto paritario», spiegano – anche all’uomo – i giudici.
Di conseguenza, «non è previsto che su un coniuge siano addossati tutti i compiti di cura della casa e della prole, poiché entrambi i coniugi sono tenuti a svolgere le stesse mansioni, e ciò anche nell’ipotesi in cui uno solo di essi lavori, poiché non sarebbe ammissibile una situazione di sottomissione dell’altro partner a svolgere lavori di mera cura dell’ordine domestico, al quale sono peraltro tenuti anche i figli, nell’ottica di una educazione responsabile».
Respinta, comunque, anche la versione fornita dalla donna e mirata ad addossare al marito le colpe per la fine del matrimonio.
Ella ha posto in evidenza soprattutto «la stabile relazione extraconiugale» avuta dal marito, ma, in realtà, osservano i giudici, ha ammesso più semplicemente di «non andare più d’accordo col coniuge».
In sostanza, la donna ha ammesso che «il logorio dell’unione matrimoniale era prodotto dal venir meno del feeling col coniuge» e, dunque, «non può stabilirsi una relazione causale tra la fine del loro rapporto e la relazione adulterina del marito». Ciò che emerge, invece, è che «i disaccordi tra moglie e marito abbiano minato le basi della famiglia e che la lamentata liaison dell’uomo con un’altra donna e l’abbandono del tetto coniugale da parte dell’uomo ne siano stati una mera conseguenza, a prescindere dal tentativo della donna di tenere unita la famiglia».