Personalizzazione della pena pecuniaria: esclusi i dubbi di legittimità costituzionale
I dubbi di legittimità costituzionale. Con la sentenza n. 155/19, depositata il 21 giugno, la Corte Costituzionale dichiara la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP di Termini Imerese (trattate unitamente alle questioni avanzate dal GIP di Macerata) con riguardo alla nuova disposizione, introdotta per effetto dell’art. 1, comma 53, l. 23 giugno 2017, n. 103 (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”), dell’art. 459, comma 1-bis, c.p.p., nella parte in cui prevede che il giudice, nel determinare l’ammontare della pena pecuniaria da irrogare in sostituzione di una pena detentiva, debba tener conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare e che il valore giornaliero di ragguaglio sia non inferiore ad euro 75 e non superiore a tre volte detto ammontare per ogni giorno di pena detentiva.
La ratio della norma. Secondo il giudice rimettente, in tale previsione, vi sarebbe una violazione degli artt. 3, 27, commi 1 e 3 e 111 Cost.. Di diverso avviso però la Corte Costituzionale, che, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale, ha rammentato la ratio del procedimento per decreto: «Il nuovo comma 1-bis dell’art. 459 c.p.p. in questa sede censurato – che consente di determinare entro una forbice piuttosto ampia (da 75 a 225 euro) il tasso di conversione giornaliero della pena detentiva in sede di decreto penale di condanna – costituisce per l’appunto la risposta del legislatore alle esigenze emerse nella prassi, calibrate sulle specificità del procedimento per decreto: un procedimento che scommette sulla possibilità che l’imputato accetti la pena irrogatagli al di fuori del contraddittorio, con conseguente prezioso risparmio di energie per la giurisdizione penale, in cambio – in genere – di un consistente sconto rispetto allo stesso minimo edittale della pena e – in ogni caso – a fronte della rinuncia alla pena detentiva da parte della pubblica accusa». Tale considerazione ha portato il Giudice delle Leggi ad escludere la manifesta irragionevolezza della disciplina censurata.
Infondati sono anche i dubbi di legittimità in relazione all’art. 3 Cost. e alla presunta «irragionevole disparità di trattamento fra i soggetti meno abbienti (giudicati più favorevolmente) ed i soggetti più abbienti (giudicati meno favorevolmente)». Ed infatti sottolinea la sentenza che «la graduazione della sanzione pecuniaria a seconda delle condizioni economiche dell’imputato e del suo nucleo familiare, lungi dal risultare lesiva dell’art. 3 Cost., ne realizza precipuamente il fine di evitare un’impropria parificazione di situazioni e condizioni tra loro diverse. La considerazione delle condizioni economiche del reo nella determinazione della pena pecuniaria costituisce, a ben guardare, un naturale riflesso dello stesso principio costituzionale di eguaglianza, dal momento che l’impatto “esistenziale” di sanzioni pecuniarie di identico importo può essere in concreto assai diverso, secondo le differenti condizioni dell’autore».
Risulta infine rispettato anche il principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.) posto che la norma mira proprio ad un maggior grado di «di individualizzazione della pena […], essendo evidente, ad esempio, come l’impatto della sanzione pecuniaria sia diverso a seconda della sussistenza o meno di oneri di mantenimento di altri componenti del nucleo familiare privi di proprie risorse».