Riconoscimento degli assegni di natalità e maternità agli stranieri extracomunitari: la Consulta rinvia alla CGUE
Con ordinanza n. 182/20, depositata il 30 luglio, la Corte costituzionale, tramite la procedura del rinvio pregiudiziale, ha rivolto alla CGUE un quesito sul riconoscimento degli assegni di natalità e di maternità agli stranieri extracomunitari.
Le questioni di costituzionalità, sollevate a suo tempo dalla Cassazione, hanno posto l’accento sulla subordinazione dell’erogazione degli assegni a un periodo di 5 anni di permanenza nel territorio dello Stato nonché al possesso di un reddito adeguato e di un alloggio. La Suprema Corte si è chiesta se tale disciplina fosse idonea a realizzare un’ingiustificata discriminazione degli stranieri che risiedono legalmente in Italia e versano in condizioni di più grave bisogno e, dunque, una violazione degli artt. 3 e 31 Cost. e dei principi stabiliti dal diritto dell’Unione Europea.
Ebbene, la Corte Costituzionale si è rivolta alla Corte di Lussemburgo chiedendo di chiarire se tale normativa sia compatibile con l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, «che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, e con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, sulla parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri».
In particolare, per quel che riguarda l’assegno di natalità, la Consulta «ne ha identificato, accanto alla finalità premiale, una concorrente funzione di sostegno alle famiglie in condizioni economiche precarie». Pertanto, secondo la Corte, esso «potrebbe essere qualificato come “prestazione familiare” secondo il diritto dell’Unione (articoli 1, lettera z, e 3, paragrafo 1, lettera j, del regolamento CE n. 883/2004), con la conseguente applicazione del principio di parità di trattamento».
Con riferimento all’assegno di maternità, la Corte si è posta il quesito preliminare sulla sua riconducibilità all’art. 34 della Carta fondamentale, inteso come «volto ad assicurare a tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri «uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento, vincolando gli Stati ospitanti a osservare quest’obbligo».