Sospensione dei licenziamenti per emergenza Covid-19 vs. sospensione nella liquidazione giudiziale: a chi serve irrigidire le regole del gioco?
L’emergenza sanitaria causata dal coronavirus ha spinto il Governo a varare una norma che vieta ai datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, di licenziare per motivi economici (giustificato motivo oggettivo ex articolo 3, Legge n. 604/1966) o, ricorrendone i presupposti, di dare avvio alle procedure di licenziamento collettivo ai sensi della Legge n. 223/1991 per un periodo di 60 giorni decorrenti dal 17 marzo, data di pubblicazione del decreto legge n. 18/2020 in Gazzetta Ufficiale.
Tale misura straordinaria è contenuta nell’art. 46 del d.l. n. 18/2020 ed offre la possibilità di un confronto con una situazione speculare: quella riguardante la sospensione dei rapporti di lavoro subordinato (e di tutte le obbligazioni retributive e contributive che vi fanno capo), che interviene una volta dichiarato il fallimento, frutto di un consolidato orientamento giurisprudenziale che è stato trasfuso dal legislatore del Codice della crisi nell’art. 189 CCII.
Secondo tale norma, il periodo di sospensione può durare per un massimo di quattro mesi, prorogabile dal Giudice Delegato fino ad massimo di ulteriori otto mesi su richiesta del Curatore, del Direttore dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro e dai singoli lavoratori, qualora sia ritenuta sussistente la possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell’azienda o di un suo ramo.
Nella situazione concorsuale, quindi, entrambe le parti del contratto hanno la facoltà di chiederne la proroga, ma anche di recedere: il curatore opterà per questa scelta “senza indugio”, come chiarisce ora il comma 3 dell’art. 189, qualora all’orizzonte non si profili la possibilità di continuazione o ripresa dell’attività, neanche indirettamente cedendo l’azienda o un suo ramo.
Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni: la versione attuale del nuovo art. 189 CCII, qualifica in modo automatico “per giusta causa” solo quelle che intervengono una volta decorsi i primi quattro mesi di sospensione, periodo durante il quale egli – in assenza di determinazioni del curatore – rimane vincolato alla procedura senza la possibilità di accedere alla NASpI.
L’art. 21, comma 1, lett. a) dello Schema di decreto legislativo correttivo del Codice della crisi intende tuttavia qualificare per giusta causa anche quelle presentate prima della scadenza del primo periodo, proprio al fine di consentire al lavoratore il ricorso ad una misura di sostegno al reddito quale appunto la NASpI.
Il nuovo testo del comma 5 dell’art. 189 CCII disporrebbe infatti che “le eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione del rapporto e prima della comunicazione di cui al comma 1, si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale” a condizione che il lavoratore non goda di uno dei trattamenti di integrazione salariale previsti dal decreto legislativo n. 148 del 2015 o di altre prestazioni di sostegno al reddito.
La regola della sospensione dei rapporti di lavoro in sede fallimentare appare quindi flessibile.
Al contrario, la norma introdotta dall’art. 46, D.L. n. 18/2020 che vieta al datore di lavoro la possibilità di intimare i licenziamenti per motivi economici non gode di alcun temperamento e non ammette deroghe: la sua rigidità, opportuna in tempi di crisi eccezionale quale quella che stanno vivendo tutti i settori produttivi, giova solo in modo apparente ai lavoratori, ma finisce col rinviarne l’accesso alla NASpI, o il perfezionamento di accordi di incentivo all’esodo, così come blocca le imprese, impossibilitate ad attuare piani di riduzione di organico magari programmati già da tempo, tra le quali quelle insolventi.
È forse anche per questo che, in modo opportuno, la Circolare del Ministero del lavoro dell’8 aprile 2020, n. 8, interpreta l’art. 22 del decreto-legge Cura Italia in modo estensivo ricomprendendo tra le imprese beneficiarie della CIG in deroga anche quelle fallite, i cui rapporti di lavoro si trovano sospesi.
(Fonte: ilfallimentarista.it)
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